con-laborare

Non ho nessuna intenzione di andare una settimana a Roma, non in questo momento. E poi fra viaggio e albergo costerebbe una tombola.

Troverei però costoso anche che un mio collega debba necessariamente venire a Milano, a parte che non vedrei motivi di far fare ad un altro una cosa che io non mi sento di fare.

Ma dobbiamo lavorare insieme.

E a questo punto emerge il ragionamento sul vero contenuto di quanto vado a proporre al mercato: virtualizzare la presenza, espandere la comunicazione arricchendo il linguaggio di sempre nuove ramificazioni semantiche o sintattiche.

Non mi riferisco solo a emoticon o abbreviazioni stucchevoli (stile SMS che però sul web non capisco quanto senso conservino dato che non si paga “a lettera”), ma a filmati, voce, parola, presenza condivisione di schermo, cooperazione, confronto, condivisione …

Dobbiamo lavorare su un importante gap culturale, se pretendiamo che gli altri lo facciano e pretendiamo persino che siano anche disponibili a pagare perchè li si aiuti. Ma il gap culturale non è tanto “impariamo ad utilizzare strumenti 2.0“, ma cominciare a capire che i margini per un atteggiamento prodigo nell’utilizzo delle risorse finanziarie si assottigliano sempre di più, e il serio rischio è apparire inadeguati al momento.

Ponendomi dalla parte del cliente, mi rendo conto che mi dispiacerebbe veder finire i miei soldi in rivoli che non mi avvicinino all’obiettivo per il quale mi sono rassegnato a procedere ad un investimento, se il mio advisor arriva in bicicletta, autobus, taxi o elicottero il lavoro che lui farà per me sarà uguale, ma allora per quale motivo dovrei pagare anche un elicottero che oltre a rumoroso e inquinante è anche molto molto costoso ? Non voglio più fare l’errore di bruciare denaro in costi non direttamente produttivi e che in fin dei conti avvantaggiano solo la compagnia che gestisce il servizio degli elicotteri, non certo me ma persino il mio consulente ne trae in fondo un giovamento davvero modesto.

Ad esempio, se il consulente acconsentisse a parlare con me via skype (o qualsiasi altra piattaforma di comunicazione integrata) probabilmente lui perderebbe molto meno tempo, di sicuro potrebbe trovarsi più a proprio agio sulla propria poltrona e potrebbe lavorare meglio. se poi volesse meglio sottolineare un aspetto della riunione potrebbe enfatizzarlo scrivendo quanto sente o quanto dice, in modo da condividere immediatamente anche un brogliaccio di verbale ottimizzando ulteriormente i tempi.

La dimensione collaborativa non può essere accettata solo in quanto nuova o alla moda, la si deve saper motivare, per poterla proporre.

Di certo, a costo di influenzare negativamente il PIL nazionale al quale peraltro personalmente non devo alcun tipo di sacrificio, se collaborare o usare nuovi strumenti basati sulla rete mi procura in qualche modo un vantaggio economico  senza però  sminuire il valore di ciò che sto comprando/vendendo e posso quindi  avere un utile identico con un prezzo minore, credo che non ci starei neanche a pensare.

Collaborare, quindi

ma prima di collaborare frapponendo dei media tecnologici abbiamo bisogno di capire che collaborare è chiudere il rubinetto dello sciacquone, una volta che lo si è usato, stampare (se serve davvero) le minute interne su carta da minuta anzichè su carta bianca, usare il telefonino se si ha la certezza che l’interlocutore non è disponibile via web.

Il downturn che molti mercati stanno vivendo impone un atteggiamento più sobrio, a dimostrare se non altro che si sa imparare qualcosa.

E ben venga l’opportunità di fare le riunioni di coordinamento e condivisione su più sedi contemporaneamente senza che una frazione di informazione sia persa: rinuncio volentieri a guardare dritto negli occhi il mio interlocutore, se poterlo fare deve costare più di quanto pago lui o più di quanto lui paga me


About this entry